Vanitas

regia:
Mario Brenta e Karine de Villers
durata:
55'
anno di produzione:
2020
scrivi all'autore:
mario.brenta@unipd.it

Disponibile in streaming dalle ore 10 del 29/03/2021 alle ore 10 del 05/04/2021

Fin dalla sua apparizione sulla Terra, l'uomo si accanisce a voler dominare il mondo e trasformarlo a propria immagine, ma ne e di fatto sempre trasformato. Dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre ha cercato ostinatamente di negare la propria appartenenza alla Natura, rivoltandosi contro di essa, contro le cose, contro i suoi simili, contro persino i suoi stessi fratelli. Di qui, all'ombra della menzogna del progresso: guerre, distruzioni, sofferenze, schiavitù, follia... Una lotta senza fne che si ripete sempre uguale attraverso i secoli e le generazioni, tra desiderio e realta, tra realta e illusione.

Note di regia

Come è nata l'idea di Vanitas? Non certo da un concetto, da un pensiero o da un progetto preesistente. Si può dire allora che il film sia nato per caso, per una circostanza fortuita? Come praticamente quasi tutti i nostri lavori possiamo dire che anche Vanitas e nato piu che altro da un incontro, inatteso magari ma non di certo casuale. 

 

È nato - almeno per quanto riguarda un interesse, un'intenzione – su delle immagini fotografche piuttosto che cinematografche raccolte in un luogo un po' particolare che eravamo stati invitati a visitare nell'isola greca di Leros in occasione alla presentazione di una rassegna dei nostri lavori precedenti.

 

Un luogo in completo stato di abbandono, se non proprio in rovina, che nella sua pluridecennale esistenza era stato destinato a svariate funzioni. Nato all'origine come caserma di un'unita dell'Aeronautica Militare Italiana di stanza nel Dodecaneso, nel secondo dopoguerra era stato trasformato in ospedale psichiatrico e, in epoca piu recente, in luogo di confino per i detenuti politici durante il regime dei Colonnelli. Da ultimo si è trovato ad ospitare migranti e rifugiati in un campo di raccolta allestito in massima parte nel parco circostante dove sono ricomparsi, in alcuni piccoli edifci sparsi tutt'intorno, piccoli gruppi isolati di malati mentali.

 

Storia curiosa, questa della Caserma Avieri - così era stata battezzata in origine – storia di cambiamenti che però nulla avevano cambiato se non nelle apparenze perché nella sostanza era rimasto un luogo dove aggressività, violenza, repressione avevano trovato la loro naturale dimora. Un luogo che si era sempre trovato, e tuttora si trova, ad essere testimone della fne delle illusioni, delle utopie: da quelle di dominio a quelle di libertà, da quelle dell'evasione dalla realtà a quelle della speranza in un mondo migliore. Un luogo di vuota desolazione ma non per questo privo di inquietanti presenze. Presenze fantasmatiche, invisibili evocate però dalle numerose tracce: residui di arredi sfasciati, indumenti, oggetti personali, ma soprattutto scritte, scritte di ogni tipo, tutte disperatamente dipinte o graffte sui muri delle stanze, dei corridoi, dei bagni, delle cucine...

 

Tracce, tracce di un passato che perdura nel presente non solo come memoria ma nel suo ripetersi sempre uguale. Tracce di ascese e declini, di guerre, di sofferenze, di malattie, di morte che da lì, culla dell'occidente, luogo dove e nato il pensiero, si irradiano per tutto il Mediterraneo attraverso la testimonianza delle rovine, dei ruderi passati e presenti di antiche civilta: greca, romana, etrusca... Immagini attuali che, in Vanitas, illustrano a livello di metafora i versetti dell'Ecclesiaste che costituiscono e dipanano il flo conduttore del flm. Curioso testo, l'Ecclesiaste, in questo suo porsi e contrapporsi come luogo dell'immanenza al sentimento mistico trascendente che permea gli altri libri dell'Antico Testamento. Un invito a «restare con i piedi per terra», un monito perentorio a rifettere
sulla realtà della natura umana, a liberarsi dalla menzogna del mito e dalle pericolose insidie dell'illusione.

 

A quanto flmato di ciò che rimane oggi della Caserma Avieri, si sono via via aggiunti materiali eterogenei: riprese originali, fotografe, flmati d'archivio... il tutto secondo una chimica degli affetti piuttosto che secondo una sintassi narrativa tradizionale. Da una forma elementare di vita – come l'immagine di quell'alga sinuosa e futtuante che apre il flm – si è passati attraverso la comparsa dell'uomo sulla Terra alla sua cacciata dal Paradiso Terrestre e al suo continuo e vano tentativo di dominare il Mondo trasformando la Natura e di esserne in fondo sempre trasformato. In questo tentativo ogni impresa, ogni battaglia e votata all'insuccesso. Tutto va ripreso dall'inizio e tutto si ripete in un eterno ritorno dell'uguale e tutto ciò che viene dalla polvere in polvere dovra ritornare.

 

La vanità delle vanità, l'eterna illusione si ripresenta nella sequenza fnale del flm dove il parco di un ex-ospedale psichiatrico e trasformato in una sorta di palestra all'aperto in cui l'umanità piu varia si ritrova accomunata in un perpetuarsi di pratiche ginnico-sportive votate ad una forsennata quanto vana cura del corpo nel patetico tentativo di fuggire al proprio destino di esseri mortali. Per una sorta di beffarda ironia, il luogo di cura della follia si trasforma nel luogo della follia dell'illusione, del sempre vagheggiato ritorno al giardino dell'Eden, al Paradiso Perduto e mai piu ritrovato.

Regia Mario Brenta e Karine de Villers
Fotografia Mario Brenta
Montaggio Karine de Villers
Post-produzione Francesco e Alessandro Tedde - Antropotopia
Produzione Francesco e Alessandro Tedde – Antropotopia