“I Babelici” sono artisti irregolari che hanno realizzato - fuori o ai confini dell'ufficialità e del mercato dell'arte - un proprio universo immaginario. Questa ricerca audio-visiva su uomini e luoghi "al margine”, prevalentemente nel territorio emiliano-romagnolo, delinea una geografia anarchica animata da misconosciuti autodidatti che hanno consacrato decenni della loro vita a un'opera totale. Storie affascinanti e inconsuete di "immaginazione e creatività abusive" affidate a uomini che con le loro mani trasformano ferro, legno, cemento, rifiuti, scarti e oggetti comuni in creazioni sospese tra l’art brut e un visionario artigianato naive.
I protagonisti di questo racconto “babelico” sono tre figure che troviamo ai margini dell’asse “Via Emilia”; il più giovane è Renato Mancini, detto Mancio, scultore, o meglio saldatore, di meravigliose opere costruite con materiali metallici di recupero o scarto. Metalmeccanico da lavoratore, ma anche da artista, ha poco più di 60 anni e, da circa 40, crea figure ispirate al mondo animale o a personaggi conosciuti e inventati, assemblando viti, blocchi motore, candele, ruote, bulloni, serbatoi, ecc.; il suo sguardo è capace di penetrare gli oggetti più informi per riconoscere nel loro volume, o nell’intersecarsi di quello con altri volumi, le figure più disparate: insetti, cani, pesci, strumenti musicali, volti, musi, muse.
Poi c’è Emilio Padovani. L’arzillo 70enne è un “primordiale” scultore che raccoglie sassi, o massi, di tutte le dimensioni per dare vita a opere, in alcuni casi imponenti, che rappresentano le più svariate creature e, soprattutto, dinosauri: Triceratopi, T-Rex, brontosauri, stegosauri e altri inventati di sana pianta troneggiano nel grande giardino della sua casa in campagna, tenuti insieme solo da alcuni perni di ferro a saldare i sassi che lui stesso perfora con un trapano speciale. Tutti rigorosamente costruiti con le pietre che scova abbandonate nei campi, nelle cave o lungo i fiumi, in Italia e all’estero, e che trasporta faticosamente fino alla propria casa.
Infine Elio Cangini, detto “Gianè”. In un podere adagiato sul fianco della strada statale che attraversa l’Appennino, il 79enne ha costruito un mondo immaginifico di impressionante densità, varietà e bellezza: un tunnel composto da legni intrecciati, tutti raccolti lungo il fiume, che si snoda per circa 70 metri e decorato al suo interno da decine di piccoli e inusuali presepi; “pagliai” di cemento, sassi e scarti edilizi che ricordano nella forma i tipici accumuli di legna e sterpi che si infiammano durante la rituale Festa dei falò del suo paese. E poi un’antica e sotterranea tomba gallica che lui ha decorato con un altarino, bottiglie e decine di piccoli legni appesi al soffitto, quasi ad evocare un culto pagano e meticcio. Infine, sia all’interno di un vecchio pollaio, sia in una antica stalla all’interno del borgo vecchio, Cangini ha accumulato una quantità impressionante di oggetti: dal quadro alla tazzina da caffè, dall’antico utensile contadino al giocattolo, al libro, alla cianfrusaglia, tutto è ammassato, appeso, buttato in ogni angolo e pertugio di spazi che diventano bazar e specchio di visioni oniriche e intime ossessioni.
Produzione: Officinemedia
Regia, sceneggiatura, fotografia e montaggio: Alessandro Quadretti
Musiche: Massi Amadori
Aiuto regia: Alvise Raimondi
Colorist: Daniel Pallucca
Selezionato in concorso al Aegean Docs - International Film Festival 2018, al Ismailia Film Festival 2019 e al RIFF - Rome Independent Film Festival 2018, fuori concorso al Baikal Festival "People and Environment" 2018. Selezionato all’interno del market MediMed 2018.